Questo piccolo flauto di canna hai portato per valli e colline.
Attraverso esso hai soffiato melodie eternamente nuove.

Tagore

Mio padre mi ha chiamato sempre Giuseppe,

ma tutti fin da bambino mi chiamavano Giosy. Sembrava un nome un po’ particolare o esotico. Oggi, a molti, dà l’impressione, visto come sono andate le cose, di un nome d’arte. “Cento” non è un numero messo lì per fare scena, ma è il vero cognome di mio padre.

Giosy Cento. Si può mettere anche un “don”, se lo si preferisce.

Non mi ha mai pesato, o esaltato, che molti conoscano il mio nome. Mi ha soltanto dato la percezione di quanto Dio, la sua chiamata, la musica, allarghino il cuore dell’uomo a dimensioni più grandi del pensabile. Già l’essere sacerdote mi ha fatto sperimentare quanto lui penetra l’umano e ti rende “servo” della gente più semplice e umile. Nel ministero parrocchiale ho gustato il fascino della salvezza che si attua nelle coscienze, rigenerando le anime a una vita creativamente nuova e divina. Nel ministero, inaspettato e sorprendente, della canzone ho sentito quasi un completamento al sacerdozio e un modo bellissimo, ma faticoso negli anni, di realizzarlo. La vita e Gesù sono il binario della mia esistenza e di ogni canzone.

Dopo oltre vent’anni che ho trascorso ad attingere alla fonte divina musiche e parole, sento solo il bisogno di ringraziare.

Rendo grazie a Colui che ho chiamato “il mio Dio”, restando davanti a lui come “bimbo appena nato”.

Rendo grazie a Gesù, mio Salvatore, che “ha invaso la storia e ha dato un volto d’amore alla mia e alla nostra umanità. Ho tentato di somigliargli, sperimentando molte possibilità di avvicinamento e tanta distanza dal suo ideale e dal suo messaggio.

Rendo grazie allo Spirito Santo. Quando penso a questa “quasi sconosciuta” persona divina che, senza ricevere applausi, guida i cuori e la Chiesa, illumina e riscalda, mi sento commuovere. Quante parole mi ha dettato facendo il prete, quante canzoni mi ha suggerito, generato dentro! “Io ho messo tutto il niente e lui ha creato”.

Rendo grazie per milioni di persone che ho incontrato. Troppi volti, troppi occhi, troppe mani, troppi cuori. Ho sentito traboccare la mia anima strapiena di umanità. A volte mi sento immerso nell’umano-infinito dei miei amici e provo un amore totale per tutti. Non posso ricordare i nomi, i volti. Ho nel cuore i gruppi, le masse, le parrocchie, i teatri, le piazze, le carceri, le comunità, il papa, i vescovi, i preti. Soprattutto i preti.

Rendo grazie a Dio per i preti che ho incontrato. All’inizio avevo paura dei miei confratelli. Mi avevano detto che era difficile “farsi ascoltare” da essi. Ho fatto l’esperienza con tanti di una intesa sacerdotale immediata, perché provenienti insieme dagli impegni e dai problemi sacerdotali quotidiani.
Rendo grazie per i giovani. Dico soltanto: “Mi sono sentito amato, abbracciato, capito dai giovani”. Non saprò mai il perché di questo insolito successo per un prete. Ma non posso nascondere che i giovani hanno occupato, nella mia vita, lo stesso spazio di Dio e che insieme a lui sono stati il mio tutto.

Rendo grazie a chi ha lavorato tecnicamente con me, sopportando la mia vena musicale primitiva e a volte incerta. Per gli editori, gli arrangiatori e per tutti coloro che, in qualche senso, mi “hanno fatto”.
Questo libro-storia della mia canzone vorrebbe essere il mio inno, l’inno di tanti giovani al Signore vivente in questa giovane Chiesa post-conciliare.

“Prendimi ancora per mano, Dio mio, guidami nel mondo a modo tuo”.